La Malattia di Parkinson è una malattia neurodegenerativa e progressiva causata dalla morte dei neuroni dopaminergici. La qualità di vita del paziente affetto da questa patologia è fortemente compromessa: i sintomi sono principalmente motori, come tremore a riposo, rigidità, bradicinesia (lentezza nell’esecuzione dei movimenti) e instabilità posturale. È frequente che si manifestino sintomi psichiatrici come demenza e depressione. Nelle fasi più avanzate della malattia si presentano anche difficoltà di equilibrio, coordinazione e compromissioni non motorie.
La diagnosi di Parkinson è clinica, ovvero viene effettuata attraverso l’esame neurologico e la valutazione dei sintomi presentati dal paziente. È possibile che il medico richieda degli esami strumentali come Risonanza Magnetica, TAC o SPECT, che generalmente servono ad escludere altre cause di quei sintomi.
La malattia di Parkinson e l’Alzheimer sono patologie diverse, con meccanismi eziopatogenetici differenti, sebbene siano entrambe malattie degenerative.
Circa il 30% dei pazienti affetti da Malattia di Parkinson manifesta effettivamente disturbi cognitivi, ma generalmente nelle fasi più avanzate della malattia.
Questa malattia si sviluppa in seguito ad una complessa interazione di fattori di rischio sia genetici che ambientali. Pertanto chi ha un familiare malato può essere più suscettibile alla patologia, ma questo non significa che la malattia si presenterà, proprio perché i fattori che la determinano sono molteplici.
Sì, l’esercizio fisico ha diverse utilità, in primo luogo quello di facilitare i movimenti compromessi dalla malattia; può migliorare la forza muscolare, la flessibilità delle articolazioni, l’andatura, l’equilibrio e la coordinazione. Tutto ciò può avere un impatto positivo sullo svolgimento delle proprie attività quotidiane, sul sonno e sul tono dell’umore.
Esistono diversi approcci che possono essere utilizzati contemporaneamente a quello farmacologico con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita dei pazienti.
Alcuni di questi sono la logopedia, la fisioterapia e la terapia occupazionale. Quest’ultima ad esempio fa un’analisi delle difficoltà che i pazienti hanno nella propria vita quotidiana (come vestirsi o cucinare) e costruisce insieme a loro delle strategie che li aiutino ad essere il più autonomi possibile; inoltre spinge ad adattare l’ambiente dove il paziente vive alle nuove esigenze via via che la malattia progredisce.
Fonti:
Dott.ssa Denise Magnago