Il linguaggio è la capacità cognitiva che più caratterizza la specie umana. Esso permette sia la funzione comunicativa, con la quale l’individuo ha la possibilità di favorire la trasmissione di informazioni e l’interazione sociale, sia quella conoscitiva, poiché il linguaggio permette di descrivere gli eventi attraverso i concetti [1].
Il linguaggio è quindi il mezzo principale di comunicazione del pensiero ed è universale: ogni società umana ne possiede uno e ciascun essere umano acquisisce la sua lingua nativa e la utilizza senza alcuno sforzo.
Il linguaggio è strutturato in più livelli: sopra tutti vi è la frase, quindi vi sono le parole, a loro volta composte di morfemi, le più piccole unità linguistiche portatrici di significato. Le parole sono a loro volta composte da un set di unità elementari, dette fonemi, che costituiscono gli elementi distintivi tra parole [2].
Per capire un discorso procediamo dal basso verso l’alto: ascoltiamo i fonemi, li usiamo per costruire morfemi e sintagmi di una frase e infine ricaviamo il pensiero della frase. Spesso il contesto rende prevedibile ciò che viene detto, dopo aver udito alcune parole saltiamo alle conclusioni su ciò che pensiamo significhi l’intero discorso e le utilizziamo per capire il resto della frase [1].
Per produrre una frase, invece, procediamo dall’alto verso il basso: partiamo da un pensiero proposizionale, lo trasformiamo nei sintagmi e nei morfemi della frase e infine trasformiamo i morfemi in fonemi.
L’afasia viene definita come un disturbo del linguaggio che consegue a lesioni acquisite del sistema nervoso centrale. Le aree cerebrali responsabili delle funzioni linguistiche si trovano nell’emisfero sinistro e comprendono l’area di Broca (corteccia frontale), storicamente attribuita alla capacità di produzione del linguaggio, e l’area di Wernicke (corteccia temporale), deputata alla comprensione.
Tuttavia, studi successivi hanno evidenziato che la maggior parte dei pazienti afasici mostrano deficit di linguaggio sia in produzione che comprensione, sia orale che scritto, contraddicendo così la dicotomia comprensione/produzione [2].
I più recenti modelli nella neurolinguistica cognitiva hanno sostenuto che le capacità linguistiche sarebbero il risultato del funzionamento congiunto di diverse aree corticali e sottocorticali. Hanno studiato le capacità linguistiche residue dei pazienti in modo dettagliato e hanno prodotto modelli che descrivono procedure separate per l’elaborazione di materiale lessicale e sublessicale e singole sottocomponenti per ciascuna di esse. Tali modelli permettono di descrivere i disturbi afasici di singoli pazienti in modo più accurato [2].
Una persona che presenta un’afasia si troverà in una situazione di grande disagio: pensiamo a quanto importante sia il linguaggio nella nostra vita quotidiana e a quanto ci potremmo trovare in difficoltà se non avessimo più la capacità di comunicare. Pertanto la riabilitazione delle funzioni linguistiche deve essere una priorità nel trattamento riabilitativo.
L’approccio che Neurab ha seguito nella realizzazione degli esercizi per la riabilitazione del linguaggio è basato proprio sul modello della neuropsicologia contemporanea, che divide le facoltà linguistiche in lessicali e sublessicali. Entro questo paradigma, gli esercizi proposti permettono una riabilitazione dei lessici fonologici e ortografici di input, dei meccanismi di conversione acustico-ortografica e più in generale un allenamento più ecologico sulla denominazione e sulla correttezza di suoni, lessico e grafie del linguaggio.
Tra gli esercizi troviamo ad esempio l’Associazione suono-simbolo, studiato per permettere un allenamento delle vie sublessicali. L’esercizio riproduce acusticamente lettere, sillabe, parole e pseudoparole di lunghezza sillabica differente: il paziente ascolta lo stimolo e seleziona fra più alternative quale forma scritta corrisponde al suono appena ascoltato. Un altro esercizio è Giudizi ortografici, progettato per allenare il lessico del paziente. Vengono mostrate o riprodotte acusticamente delle parole: compito del paziente è riconoscere l’errore in esse e riscriverle correttamente.
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Fonti:
Dott.ssa Denise Magnago, neuropsicologa